paradisi fiscali

Il recente rapporto “State of Tax Justice 2023” del Tax Justice Network, un’organizzazione londinese per l’equità fiscale, ha rivelato che, a meno di profonde riforme fiscali, il mondo potrebbe subire una perdita stimata di 4.700 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni. 

Di questa somma, le aziende multinazionali sarebbero responsabili del 64% grazie alla pratica del profit-shifting, ovvero spostare i loro profitti verso giurisdizioni a bassa tassazione. D’altra parte, il 36% di queste perdite deriverebbe da individui abbienti che sfruttano la segretezza finanziaria per nascondere le loro ricchezze al fisco. 

Ma come si è sviluppata questa cultura di evasione fiscale? Risalendo ai tempi dell’antica Grecia, le imbarcazioni commerciali cercavano di eludere le tasse evitando porti tassati. La storia segnala anche episodi nell’Impero Romano e durante il periodo coloniale, quando pirati nascondevano tesori nei Caraibi.

Tuttavia, il concetto moderno di paradiso fiscale ha inizio intorno al 1880, quando stati come il New Jersey e il Delaware offrirono agevolazioni fiscali alle aziende che vi si insediavano. Questa tendenza si è poi estesa a nazioni come le Bahamas e la Svizzera, quest’ultima diventando un bastione del segreto bancario negli anni ’30. 

Viegas, in un suo studio per il Parlamento europeo, evidenzia come dal 1920 al 1938, i fondi offshore in Svizzera siano cresciuti da 10 a 125 miliardi di franchi. In seguito alla Seconda Guerra Mondiale, sempre più territori hanno adottato politiche di favore fiscale e norme stringenti sulla riservatezza bancaria. Queste pratiche, rafforzate dall’ascesa dei petrodollari e dalla globalizzazione, hanno reso i paradisi fiscali un pilastro delle finanze globali.

L’OCSE, nel suo tentativo di identificare questi paradisi, si concentra su caratteristiche come la bassa tassazione, l’opacità fiscale e la mancanza di collaborazione in materia di scambio di informazioni.

Di Andy

International Tax Planner and Offshore Services Provider.