Martedì i ministri delle Finanze dell’UE hanno inserito le Isole Vergini Britanniche (BVI), il Costa Rica, le Isole Marshall e la Russia nella black list dei paradisi fiscali.
La lista aggiornata comprende ora 16 Paesi con i nuovi ingressi, come parte degli sforzi dell’UE per nominare e svergognare le nazioni straniere che, a suo dire, contribuiscono a facilitare i servizi che consentono alle aziende e ai ricchi di evitare di pagare le tasse.
Il nuovo elenco comprende Samoa americane, Anguilla, Bahamas, Isole Vergini britanniche, Costa Rica, Figi, Guam, Isole Marshall, Palau, Panama, Russia, Samoa, Trinidad e Tobago, Isole Turks e Caicos, Isole Vergini americane (USVI) e Vanuatu.
I Paesi inclusi nella lista sono colpiti da sanzioni amministrative dell’UE e sono esclusi da alcuni finanziamenti comunitari. L’inclusione della Russia nella lista non è legata alla guerra in Ucraina. I ministri hanno inserito il Paese nella lista grigia dei paradisi fiscali lo scorso anno come avvertimento.
Nonostante le quattro nuove aggiunte, la ONG anti-povertà Oxfam International è rimasta critica.
“A prescindere dall’aggiornamento di oggi, la lista nera dei paradisi fiscali dell’UE rimane una barzelletta“, ha scritto in un’e-mail Chiara Putaturo, esperta fiscale di Oxfam UE. ( e se lo dicono loro…)
Nei fatti queste nazioni influiscono in maniera infinitesimale nel bilancio europeo. Quante multinazionali convogliano royalties a Vanuatu, o a Palau?
Quante invece, multinazionali e non, convogliano interessi, marchi, brevetti, in Lussemburgo, Irlanda, Olanda, Cipro, Malta o Stati Uniti?
La realtà è ben diversa, la black list altro non è che un’arma economica utilizzata dall’Europa per sottomettere nazioni che per dimensioni e forza economica non sono in grado di difendersi e non hanno la minima voce in ambito internazionale.
Tolte Russia e forse Panama, come si può pensare che Palau (458kmq e 21000 abitanti) o Guam (541Kmq, 160.000 abitanti), o Vanuatu possano in qualche modo far valere i loro diritti?